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IL CIBO CHE NON SAZIA: TRA ILLUSIONI, CORAZZE E VERITÀ

C’è fame… e poi c’è fame di altro.
Fame di essere visti, fame di calma, fame di non sentire più nulla, fame di sentire qualcosa.
E spesso, tutto questo… lo mettiamo nel piatto.

Mangiamo per nutrirci, certo.
Ma diciamoci la verità: quante volte il cibo è stato una coperta calda, un ansiolitico fatto di pizza e gelato? Una corazza di panna montata o patatine fritte per difenderci dal mondo?

Il cibo come corazza

Certe persone si coprono di abiti larghi, altre si coprono di chili.
Per paura di essere viste. O al contrario, per farsi notare.
Per dire: “Lasciami in pace” oppure “Mi vedi? Sono qui!”

Il cibo diventa così una corazza silenziosa, che parla per noi.
Dice: “Sto soffrendo”, ma in una lingua che solo pochi sanno capire. A volte nemmeno noi.

Il cibo come ansiolitico

Ci sono giorni in cui un pacchetto di patatine sembra più efficace di una meditazione zen.
Una tavoletta di cioccolato più rassicurante di mille abbracci.
Perché il cibo, quello che consola, non ci giudica mai.
È sempre lì. Disponibile. Obbediente.

Solo che poi… non funziona o non è abbastanza.
Il buco allo stomaco torna. La testa ricomincia a correre.
E quella sensazione di vuoto è ancora lì, a chiederci cosa vogliamo davvero.

Il cibo come controllo

Ci sono momenti nella vita in cui tutto ci sfugge di mano.
Un lutto, una separazione, problemi economici, il lavoro poco soddisfacente, un cambiamento imprevisto.
E allora ci aggrappiamo a quel che possiamo controllare.
E cosa c’è di più controllabile del cibo?

Decido io quanto mangiare.
Decido io se digiunare, se abbuffarmi, se contare le calorie come un contabile cosmico.
Nel caos del mondo, la mia forchetta diventa il mio scettro.
Ma attenzione: non sempre chi controlla è davvero libero.

Il cibo come espressione

Poi ci sono i momenti belli. Quelli in cui cucini con amore, con arte, con gratitudine.
Quando prepari un piatto per dire “ti voglio bene” o ancor meglio “mi voglio bene”.
Quando impasti e sorridi.
Quando la tavola è un altare e il cibo diventa poesia masticabile.

In quei momenti, mangiare è vivere, essere presenti a sé stessi. Non fuggire, non difendersi, non anestetizzarsi.
È esserci.
È dire: “Io ci sono. Mi prendo cura di me. E me lo merito.”


Forse il vero cibo che ci nutre non ha solo un sapore.
Ha un’intenzione. Una presenza. Un perché.

E quando mangi sapendo perché,
anche un semplice pezzo di pane…
può diventare un atto d’amore.

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