Shantie: la bambina che sussurrava “pace”

C’era una volta un villaggio in cui gli abitanti litigavano di continuo. Chi aveva ragione? Chi aveva torto? Nessuno lo sapeva davvero, nessuno ricordava come e quando tutto fosse cominciato ma ognuno voleva avere l’ultima parola.
Un giorno nacque una bambina e i suoi genitori, stanchi di tanto rumore e di tutti quei litigi, la chiamarono Shantie, che in un’antica lingua significava “pace”. Crescendo, Shantie ascoltava tutti con attenzione ma non prendeva mai parte alle discussioni. Quando le chiedevano da che parte stesse, lei rispondeva: «Io sto dalla parte del cuore».
Col passare degli anni, la gente del villaggio cominciò a notare che, vicino a Shantie, ci si sentiva più calmi. Le parole si facevano più gentili, gli sguardi più delicati. Qualcuno, piano piano, iniziò a chiedersi: «E se smettessimo di cercare chi ha torto e chi ha ragione? Se provassimo invece a capire come si sente l’altro?»
Shantie non parlava molto, ma i suoi gesti erano chiari: un abbraccio dato al momento giusto, un silenzio rispettoso, una carezza al posto di un giudizio.
E così, grazie a una bambina chiamata Pace, il villaggio imparò che la pace non si impone, ma si semina. E che il cuore ha sempre più ragione della ragione stessa.
Il dono di Shantie negli anni passò di voce in voce, di villaggio in villaggio, finché un giorno arrivò un visitatore. Era un uomo molto vecchio, il volto scavato da rughe profonde che raccontavano un passato doloroso.
Chiese di parlare con la bambina di pace. Shantie lo ascoltò per ore ed ore e per la prima volta gli abitanti del villaggio videro un’espressione preoccupata sul volto della bambina di solito sempre sereno e sorridente.
E così Shantie partì, con un fagottino in spalla, assieme all’anziano visitatore.
Dopo molti giorni di cammino, arrivarono in un posto bellissimo, che però era pieno di lividi invisibili. Sempre più spesso quei lividi prendevano forma: diventavano urla, armi, bombe.
Gli adulti chiamavano tutto questo “necessità”, “politica”, “difesa”.
Ma Shantie, che sentiva la verità sulla sua pelle, lo aveva subito riconosciuto: era solo paura.
Shantie non era speciale perché volava o faceva magie, ma perché ascoltava.
Ascoltava il pianto delle formiche, le liti delle nuvole, il dolore degli alberi abbattuti. E soprattutto ascoltava il cuore degli uomini.
Trovò un soldato col fucile a tracolla e gli chiese: “Perché uccidi?”
Lui rispose: “Per obbedienza.”
Allora Shantie disse: “Ma a chi obbedisci, se il tuo cuore ti chiede di fermarti?”
Il soldato abbassò lo sguardo e pianse.
Pianse le sue prime lacrime da quando era bambino.
Da quel giorno, Shantie non smise di camminare, correre, danzare schivando bombe e proiettili.
Dove c’erano muri, lei portava orecchie.
Dove c’erano urla, portava silenzi caldi.
Dove c’erano armi, portava domande.
E piano piano, senza più sparare un solo colpo, iniziò la Rivoluzione dell’Ascolto.
I soldati diventarono custodi.
I generali diventarono giardinieri.
E i bambini smisero di disegnare carri armati nei loro quaderni.
Così finì l’epoca delle guerre.
Non perché non ci fosse una guerra da vincere, ma perché combattere aveva perso ogni significato.
Vincere e perdere divennero verbi vuoti. Furono sostituiti da altri, dimenticati da troppo tempo: gioire, sorridere, amare, curare, accudire, festeggiare.
Shantie tornò al suo villaggio, dove venne accolta con feste, balli e tanta felicità.
Per adesso questa è solo una storia. Magari un giorno diventerà la realtà.